ISTITUTO CRANIOSACRALE INTEGRALE

i ritmi più profondi della Vita

Dallo yoga delle cellule al CranioSacrale II


Seconda parte

In questa seconda parte alla scoperta della connessione fra la terapia cranio sacrale e lo yoga, vengono presentate le figure di Sri Auribindo e Mère, due esseri carismatici nonché importanti punti di riferimento nell'ambito della ricerca della conoscenza di sé.

Sri Aurobindo

Sri AurobindoSri AurobindoAurobindo nacque in India, ma fu mandato dal padre in Inghilterra già dall’età di sette anni; qui frequentò ottime scuole, dove ricevette una completa e profonda educazione occidentale. Questo è un fattore molto importante, poiché Sri Aurobindo non ricevette alcuna educazione religiosa o mistica come di solito accade per molti di noi; inoltre questa formazione occidentale gli diede una base culturale e di conoscenza che gli permetterà di avere una visione più ampia per muoversi, in seguito, nel campo spirituale ed in quello più terreno con grande integrazione.

Tornato in India partecipò attivamente alle lotte per l’indipendenza dagli Inglesi; tanto che finì anche in carcere. Ma prima che succedesse questo ricevette l’iniziazione allo yoga da uno yoghi, Vishniu Bhaskar Lelè, all’età di circa 35 anni. Ed era un terreno già preparato e fertile, perché sperimentò da subito l’esperienza del nirvana. Aveva sempre negato lo yoga come esperienza di ritiro dalla realtà per reami superiori, e comunque separati dalla vita più terrena, e adesso provava direttamente questa esperienza.

Ma Aurobindo non si ferma qui, infatti andrà molto avanti con questa ricerca fino a ritrovare il collegamento e rendersi conto direttamente che, anche nella vita più materiale è insita la presenza del divino: “La stessa Materia è sostanza e potere dello Spirito...” egli dice. In carcere, dove resta circa un anno, approfondisce il cammino di ricerca nella coscienza. In breve tempo cambia vita e fonda un Ashram, a Pondichery, dove trascorre il resto della sua vita.

È molto imbarazzante descrivere in poche righe la vita di questo Maestro, ma spero che queste poche righe siano state sufficienti, almeno per stimolare una ulteriore ricerca a chi ne fosse interessato.
Aurobindo ha scritto veramente tantissimo, ci ha lasciato numerosissime opere, ognuna delle quali meriterebbe uno studio approfondito: tra esse cito solo alcune delle più importanti e note, come il poema “Savitri”, “La Vita Divina”, la “Sintesi dello Yoga”, il “Commento della Bhagavad Gita”.

Rimanendo anche in questo caso ad un livello di sintesi estremo, possiamo dire che alcune cose contraddistinguono lo yoga di Aurobindo.
“La tradizione spirituale ha sempre considerato il corpo un ostacolo…” dice Aurobindo e “… Se il nostro fine è la trasformazione dell’essere, deve farne parte anche la trasformazione del corpo, senza il quale nessuna vita divina sarà possibile sulla terra”. Egli sperimenta poi come, andando al di là dell’esperienza del nirvana, là dove, secondo quando tramandatoci, si dissolve tutto, si ritrovi l’individualità: è un altro punto molto importante ed interessante.

Egli ci dice anche che il lavoro di ricerca va fatto “andando verso la materia”, anche “nel caos di un mercato”, e “… il modo per farlo non è entrando in profonde meditazioni … ma restando fermamente attaccati ai livelli più in basso della scala, lavorando con il corpo ad ogni istante …”.  E inoltre ciò che lui definisce “la discesa della forza”: si parte dai centri alti per scendere mano a mano verso i centri bassi. Per centri qui possiamo benissimo pensare a centri energetici come i “chakra”.

Rispetto ai percorsi più tradizionali è un po’ rivoluzionario: in essi in genere ci si ritira e si aprono prima i centri bassi (pensate al lavoro sulla kundalini), assistiti da un Maestro, perché tutto questo risveglia potenti energie che potrebbero essere pericolose se gestite senza saggezza.
Aurobindo dice invece che “.. grazie alla forza discendente questo pericolo viene evitato, e i centri bassi vengono affrontati solo dopo che l’essere si è saldamente stabilito in alto …”.
Tutto questo, che può essere il lavoro di molte vite, detto in maniera estremamente sintetica.

Mère

meremereMère è un’altra delle figure fondamentali di questo yoga. Nacque a Parigi e fin da bambina manifestò una straordinaria attrazione per la conoscenza di sé e dei fenomeni inspiegabili che a volte accadono. Frequentò il mondo degli impressionisti a Parigi, Moreau, Cezanne, Rodin, sposando il pittore Morisset, con cui avrà anche un figlio, e da cui divorzierà presto. Per alcuni anni frequenta Theon, un grande occultista, andando in Algeria presso il suo centro a Tlemcen, dove sperimenta su sé stessa un po’ di tutto: un turbinio di esperienze.

Successivamente, superati da poco i trenta anni, si risposa col filosofo Richard e con lui va in India. Qui, dopo un intenso girovagare, approda a Pondichery, dove incontra Sri Aurobindo: rimarrà con lui, nell’ashram, fino alla fine della sua vita, formando una coppia di altissima spiritualità.


Mère ha utilizzato il suo corpo come un “laboratorio vivente”: per sperimentare direttamente e su sé stessa il cammino di ricerca e conoscenza. Quando nel 1950 Aurobindo lascerà il corpo - ma già da molti anni si era ritirato nel silenzio per andare avanti con il suo lavoro di ricerca - Mère continuerà la sua opera, anche lei fino all’ultimo istante di vita terrena. E dal 1958, all’età di ottant’anni, comincerà lo yoga delle cellule, che la porterà a scoprire molti segreti nelle profondità del corpo.


E adesso qualche parola sull’ashram. Quando qualcuno arrivava sperimentava una situazione alquanto sconcertante: invece di trovare pace, quiete, ambienti confortevoli, rituali fascinosi, si ritrovava senza una particolare guida, lasciato un po’ a sé stesso, libero di scegliersi la strada che preferiva. Non c’era un Maestro che gli diceva cosa fare, né lezioni e corsi da frequentare secondo un programma. Quello che Aurobindo e Mère avevano fatto era a disposizione di tutti, e tutti potevano consultare tutto; senza regole fisse il discepolo era lasciato a sé stesso, doveva scoprire tutto da sé e dentro di sé, in una situazione di vita attiva e “normale”, in modo che ognuno potesse scoprire una sua “propria” verità, diversa da quella del suo prossimo.

Una situazione dove era possibile trovare la propria essenza e esprimersi con la propria creatività. Ma anche molto difficile da realizzare, abituati come siamo a trovare soluzioni preconfezionate, strade con le indicazioni, e soprattutto a non metterci in gioco noi stessi totalmente. Queste condizioni invece potevano dare, a chi lo desidera veramente, le opportunità per una vera crescita, e possono ovviamente farlo anche al tempo presente.

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